Ostello del Pellegrino di Camaiore - Via Madonna della Pietà, 1 - Loc Badia - 55041 CAMAIORE (LU)

Arte e mostre

Adolfo Saporetti

Adolfo nasce a Ravenna il 25 Dicembre del 1907. Fin da ragazzo aveva rivelato la sua vocazione artistica disegnando caricature nella natìa Ravenna, dove il giovane Adolfo, Dolfo, Dolfè per gli amici, si aggirava nel mondo socialista del padre, al quale non aveva risparmiato la caricatura. Il padre dovette presto ripararsi in Francia per sfuggire alla persecuzione dei fascisti e il figlio lo seguì.

La formazione parigina
A Parigi Adolfo Saporetti frequentò i grandi esuli italiani: Turati, Treves, Nenni, Anna Kuliscioff. Ebbe nelle frequentazioni artistiche, proposte dalla sua amica Leonor Fini, rapporti con Breton e Tzara che lo portarono all’esperienza surrealista. La prima collettiva con altri italiani a Parigi fu nel 1938. Nel 1939, alla Galerie De Berri, si aprì la prima personale di Saporetti. Filippo De Pisis, che presentò l’artista per l’occasione, sottolineò la sua sensibilità, il suo spirito distaccato dalle cose, l’ironia acuta e penetrante dei suoi disegni. E quella carica ironica non lo abbandonerà più, resterà una caratteristica immancabile delle sue opere, capace di un segno magistrale.

Anne e New York
Nel 1940 Saporetti sposa Anne, una valente pittrice americana.
Nello stesso anno si trasferiscono a New York, dove vivono fino agli anni ’60. Dalla loro felice unione nascera’ la figlia Medea.
Adolfo Saporetti fu introdotto alla realtà artistica americana degli anni’40 da John D. Graham a sua volta immigrato dall’Ucraina venti anni prima. Con lui instaurò un sodalizio che inciderà nel suo percorso artistico e che lo libererà dai vincoli del formale, di stampo surrealista e per superare quel realismo delle opere che produceva per sostenersi.
Gli furono compagni anche Arshile Gorky, Jackson Pollock, Franz Kline, Alexander Calder, Willem de Kooning, Samuel Beckett, Dylan Thomas e Varese. Inizia a viaggiare, dall’Arizona passa al Messico, si spinge nel New England e a Chicago, dove si trasferisce, per breve tempo, a Boston e poi di nuovo a New York. Il ritmo frenetico della vita americana entra prepotentemente, come materia viva, nei suoi quadri.

In Versilia
Nel 1960, con la moglie Anne, tornò inizialmente a Milano, dove incontrò Franco Passoni, che ne comprese subito le grandi possibilità e l’intimo dramma.  Proprio Passoni lo condusse in Versilia, dove Vittorio Grotti si adoperò per rimettere nell’animo di Saporetti gli interessi umani, i palpiti, le partecipazioni che gli erano stati tolti, sia pure in parte sublimati in una contemplazione sognante e distaccata. Invano. Ormai Adolfo Saporetti era irrecuperabile alle emozioni umane, le aveva superate in una sua valutazione disincantata, in una conoscenza serena, spietata e senza speranze della pochezza dell’animo e l’ingegno degli uomini, della loro povertà morale, della loro aridità ideologica.
Continuò a dipingere nella sua casa nelle colline di Camaiore, a fare quadri meravigliosi, nobilitati dal suo segno scuro, della sua mano senza incertezze, ma privi di convinzioni, colmi di quell’ironia che si poteva cogliere nel suo sorriso indimenticabile, che si rivelava con un bagliore tagliente e si dissolveva in una tristezza silenziosa, discreta, quasi pudica, tutta e soltanto sua.
Muore a Milano il 3 dicembre 1974

Pietro Paladini

“E’ conseguenza logica nel dire del paesaggio Versiliese, dove lo sguardo può posarsi su una Marina, o su una montagna maestosa. piuttosto che su un paesino arroccato in cima a un sasso, è logico dicevo parlare e descrivere le opere di Pietro Paladini che in queste terre è nato, vissuto, amandole teneramente e che molto spesso ha raffigurato nei suoi dipinti.
 
Pietro Paladini nasce a Camaiore il 21 ottobre 1923, il padre Giuseppe pur facendo il barbiere era un abile scultore appassionato d’arte e di musica. Pietro frequenta le scuole commerciali si diploma, ma l’istinto che lo guida fin da bambino è la pittura, desidera dipingere, e lo farà per tutta la vita, da autodidatta come lui orgogliosamente amava qualificarsi. Terminati gli studi, Pietro trascorre un periodo a Firenze a casa di uno zio paterno: li viene immerso nell’arte e ne resta impressionato. 
Tornato a Camaiore aiuta il padre nella barberia ma spesso se ne va in giro armato di cavalletto e tavolozza dipingendo ciò che lo circonda e lo ispira.
 
Negli anni ‘50 entra come decoratore alla Manifattura Marchi a Pietrasanta, ed è così che la ceramica entra nella sua vita. Imparato il mestiere, nel ‘56 sposa Lia, nascono due bambine, e Pietro decide di mettersi in proprio come ceramista. Organizza il suo studio in soffitta e realizza ceramiche, terrecotte ma soprattutto decora con grande maestria piatti di porcellana richiesti da tutta Italia e dall’estero. Pur amando molto il suo lavoro che gli consentiva di vivere in un mondo di colori e pennelli, Pietro non ha mai confuso la decorazione su ceramica con la pittura, per così dire teneva separato l’artigianato dall’arte. E’ negli anni ‘60 che trova ispirazione da scorci relativamente intimi, i volumi diventano schematici e la tavolozza è quasi monocromatica come se volesse ripudiare i soggetti bucolici dei suoi piatti. Il desiderio o meglio la necessità di sperimentare non si sopirà mai in lui e gli stimoli gli arriveranno poi negli anni 70 quando Camaiore era la culla di tanti artisti come Guberti, Beretta, Saporetti, la Fiore, il giovane Antonio Caldarera, molti dei quali sono passati dalla soffitta di mio padre, luogo magico impastato di colori, di odori e di musica.”
 Liana Paladini
 

 

“In pochi hanno compreso come lui la movimentata monumentalità del paesaggio camaiorese. L’energia dei cromatismi e dei tagli di luce che sprigiona. Il suo è un modo assai singolare di sentire la palpitante atmosfera dei luoghi rappresentati.”
Giuseppe Cordoni 

Luciano Regattieri

Nato a Camaiore nel 1917 da una famiglia di fabbri, da ragazzo visse un lungo periodo in Sicilia, terra rimasta nel cuore per sempre anche per l’amicizia con Rosario Murabito. Prima della liberazione ritorna in Versilia e successivamente mette radici a Capezzano con la sua officina. Si sposa con Anna Lencioni e con lei ha 4 figli. Dagli anni 50 del 900 le colline di Camaiore si popolano di artisti e lui respira questa aria nuova. Si crea un gruppo artistico di pittori, scultori poeti e critici d’arte: Russoli, Vecoli, D’Andrea, Griotti, il gruppo anarchici di Montignoso, Murabito, Guberti, Munzlinger, Cappello, Carrieri, Grotti, Liberatore, Saporetti, Beretta, Cascella, Bremer; e intorno alla fine degli anni 60 anche un circolo culturale “gruppo J” con l’amico Pietro Paladini.

Collabora con le tradizioni locali, “i tappeti di segatura” e il presepe di Bibbiena. Realizza un trofeo per il gran premio Città di Camaiore ed altri intagli scultorei per Saporetti. Ampia è la sua produzione nella lavorazione del ferro “a caldo”. Nella pittura ha sempre ammirato le correnti artistiche, che diventano per Luciano stimoli compositivi (futurismo, astrattismo, cubismo) tracciando sempre un costante riferimento al paesaggio toscano, ai colori della natura e agli elementi animali e fantastici con mutamenti e passaggi materici. Una bella produzione che merita ancora oggi di essere valutata per la sua vastità. Un grazie agli figli che mantengono viva questa esperienza di vita.